Lo Zaino del terzo millennio

Lo Zaino del terzo millennio

Una lettura dell’Assemblea Sinodale e del Documento finale del card. Walter Kasper.

Grazie alla gentile cessione della rivista Il Regno - Attualità e di Communio (Internationale Katholische Zeitschrift) vi presentiamo parte  dell’intervista di Jan-Heiner Tüch al cardinale Kaspers. L'intervista completa, pubblicato sul n. 20/2024, è disponibile a questo indirizzo: https://bit.ly/4fOgGV4

La versione originale tedesca è disponibile qui: https://bit.ly/40mq128

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Conclusa a Roma la II sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione», si apre ora la fase della sua recezione. Il dibattito è aperto tra chi ritiene il Documento finale insufficiente perché non contiene proposte vincolanti e chi ritiene invece che l’apertura su una molteplicità di temi dia la possibilità alle Chiese locali di procedere con decisioni valutate in base al contesto. In un’intervista apparsa su Communio (31.10.2024, bit.ly/3Z1Xgac) il direttore Jan-Heiner Tück – che ringraziamo per la gentile concessione – dialoga con il card. Walter Kasper, che giudica semplicistico liquidare il testo come qualcosa di non vincolante. Presentiamo qui l’intervista in una nostra traduzione dal tedesco e con titolazione redazionale (red.).

 

– Nessun rinnovamento senza pentimento. Il Sinodo appena concluso è iniziato con una veglia penitenziale. È stato secondo lei un giusto inizio?

«L’invito alla conversione è una parte essenziale del messaggio di Gesù (cf. Mc 1,19). Nel Credo confessiamo la Chiesa come santa e guidata dallo Spirito Santo; allo stesso tempo però è la Chiesa dei peccatori, che ha sempre bisogno di purificazione e di riforma. La veglia penitenziale all’inizio del Sinodo si è potuta ricollegare all’atto penitenziale che Giovanni Paolo II celebrò liturgicamente nella prima domenica di Quaresima dell’Anno santo 2000. Anche se il pentimento e la penitenza risultano sempre difficili, per le persone e anche per la Chiesa, sono un dono di grazia per poter sempre ricominciare, liberati dal peso del passato. Sono un dono della libertà cristiana».

 

– Vescovi, preti e laici, e anche alcune donne, hanno trascorso insieme 4 settimane di intense consultazioni con il metodo della conversazione nello Spirito. Si è dimostrato un metodo valido?

«A mio parere, decisamente sì. Il metodo sinodale si è rivelato un’efficace alternativa ai dibattiti aggressivi e a tutta quella in-cultura che oggi prevale nei dibattiti politici e purtroppo anche in quelli ecclesiali, dove alla fine rimangono solo presunti vincitori insieme a sconfitti umiliati e feriti. Al Sinodo abbiamo potuto intraprendere il nostro cammino sinodalmente, cioè insieme, con una maggioranza schiacciante».

 

– Ha percepito nello scambio sinodale livelli teologici diversi, con il conseguente rischio di qualche ambiguità o fraintendimento? E questo rischio con che metodo è stato affrontato?

«Naturalmente questo pericolo c’era, e d’altra parte, con persone provenienti da culture e lingue diverse, non c’era alternativa. Soprattutto il concetto relativamente nuovo di sinodalità è stato all’inizio interpretato in modo molto diverso. Quindi non solo il livello teologico, ma anche le posizioni teologiche erano diverse. Dopotutto un Sinodo non è un congresso di teologi, ma dovrebbe permettere al popolo di Dio di dire la sua con le sue diverse esperienze di fede, ma anche con il suo comune senso della fede (sensus fidei) dato nel battesimo.

Poi è iniziato un processo d’apprendimento, un per così dire “learning by doing” (imparare facendo). Tra la I e la II sessione si sono registrati evidenti progressi. I gruppi linguistici hanno permesso un vivace scambio diretto da persona a persona. Un gruppo di esperti ha lavorato nelle retrovie per limare le diverse terminologie nella preparazione del Documento finale, anche se con lo svantaggio che la bozza originale di tale testo era più accattivante, almeno in italiano, rispetto al Documento finale, in qualche modo canonicamente smussato. Ciononostante, ben oltre i due terzi vi si sono riconosciuti e sono stati felici di votare a favore».

 

L’evangelizzazione è il centro

– Il «primato dell’evangelizzazione» è una delle preoccupazioni di papa Francesco. La Chiesa sinodale dovrebbe essere una Chiesa missionaria. Ogni battezzato dovrebbe essere un attore d’evangelizzazione. Ci sono segni di cambiamenti in questo senso?

«Il Vangelo e l’evangelizzazione erano già le preoccupazioni fondamentali di papa Giovanni XXIII quando convocò il concilio Vaticano II. Papa Paolo VI ha riassunto il Concilio in questi termini (cf. Evangelii nuntiandi), e tutti i papi successivi hanno adottato questo tono di fondo, specialmente papa Francesco, che parla di gioia del Vangelo. In molti viaggi in giro per il mondo ho potuto ritrovare molti buoni frutti nelle comunità, nei nuovi movimenti spirituali e nelle comunità religiose che si sono rinnovate, così come nella teologia.

Tuttavia nella Chiesa c’è ancora troppa autoriflessione, se non addirittura letargia, mancanza di vigore e di prospettiva. Per quanto riguarda il suo tema, anche il Sinodo stesso è stato un’autoriflessione, anche se con l’intenzione esplicita di mettersi in forma per la missione affidataci da Gesù Cristo e, per così dire, preparare i nostri zaini per una nuova partenza nel XXI secolo. Ciascuno ha una missione e ciascuno è una missione».

 

– L’equilibrio si è spostato. Quasi due terzi dei membri del Sinodo provengono dal Sud globale. Le condizioni culturali per l’evangelizzazione qui sono diverse rispetto all’Occidente. In breve: la sfida della cultura laica per la trasmissione del Vangelo è stata sufficientemente considerata?

«Dovremo fare i conti con il fatto che l’Europa non è più il centro del mondo, né ora né in futuro. Soffia un forte vento da Sud. Le giovani Chiese dell’emisfero meridionale spesso fanno sembrare noi europei un po’ vecchi. A causa della globalizzazione economica e tecnologica, anche nel Sud ci sono tendenze secolarizzanti, ma, nonostante la povertà e spesso le persecuzioni, ci sono ancora Chiese vibranti e in crescita. La sfida della cultura laica non si presenta quindi con la stessa urgenza ovunque, e non è stata il tema del Sinodo. La sfida proviene piuttosto da contesti di povertà e miseria, palesi ingiustizie, disastri naturali e conflitti armati, una nuova guerra mondiale a pezzi e un nuovo risveglio delle culture indigene».

 

– La crisi degli abusi è menzionata nel Documento finale (n. 55). La richiesta di perdono, la maggiore preoccupazione per le vittime e gli strumenti di prevenzione sono citati come risposte. È sufficiente per ristabilire la fiducia, dopo questa crisi globale?

«Certamente no, ma è bene aver- lo ricordato. Non è possibile affrontare tutti i temi importanti, per quanto possano essere tali, con la necessaria completezza in un Sinodo universale in sole 4 settimane. Avendo il Sinodo messo al centro un approccio d’ascolto, attenzione, apprezzamento e rispetto, soprattutto nei confronti delle persone vulnerabili, ha indirettamente dato un contributo fondamentale alla questione degli abusi.

Lo stesso vale se si riconosce che la sinodalità è praticamente un attacco frontale al clericalismo e che l’obbligo del vescovo di rendere regolarmente conto del suo operato è anche una fondamentale misura preventiva contro gli insabbiamenti. Lo sviluppo dello stile e delle istituzioni sinodali e il trattamento e la prevenzione degli abusi vanno di pari passo. Dato che la fiducia si distrugge in fretta, ma una volta persa può essere ricostruita solo su tempi lunghi, fare i conti con gli abusi e costruire uno stile sinodale ci impegnerà per molto tempo».

 

– Si è parlato di una «salutare decentralizzazione» (Evangelii gaudium, n. 16; EV 29/2122) per promuovere l’inculturazione della fede e l’aggiornamento giuridico e teologico delle conferenze episcopali. Vede dei progressi in questo senso?

Locale e universale non sono separabili

«La discussione sullo statuto delle conferenze episcopali non è nuova; va avanti dal Concilio e ricordo d’aver partecipato a una commissione romana su questo tema ben 40 anni fa. In molti sinodi pastorali, come il “Sinodo di Würzburg”, e nei dibattiti teologici il tema ha avuto un ruolo importante fin dal Concilio. A suo tempo ho avuto un vivace dibattito pubblico su di esso con il card. Joseph Ratzinger.

Leggi il resto dell’intervista qui.

03 gennaio 2025, 10:00